Inversione

 

Il termine “inversione” viene utilizzato da alcuni mastri di teatro attuale per indicare la suggestione, che il direttore del dramma rivolge all’autore, di entrare nella parte di un suo personaggio

Talvolta si parla anche di inversione-di-ruolo, sottintendendo che l’autore stia giocando la parte di un altro

In concreto: il mastro mi suggerisce di passare, mediante una impersonazione sulla scena, dal ruolo-parte di io-me-stesso ad un altro ruolo-parte, collegata ad un personaggio (la mamma, l’amico Gianni, il cane Pippo, il cassettone della mia cameretta da bambino o quant’altro)

La modalità più tipica con cui si realizza l’inversione è mediante il chairwork, ma lo scambio delle parti si può realizzare in molti altri modi, come ad esempio in piedi, mentre possono succedersi molte e diverse inversioni, tra molti e diversi personaggi, mentre tutti contribuiscono al medesimo attuale

Il temine “inversione!” è relativamente impreciso e trae facilmente in inganno, ma è quello più diffuso nelle varie forme di teatro attuale, per cui riesce comodo al direttore di scena; benché ci possano essere altre espressioni, come “cambio!”, “altro!”, “voltati!” o quant’altro, purché tra noi si radichi la convenzione secondo cui è proprio quella parola a indicare il cambiamento di prospettiva

In realtà, mentre “divento” il cane Pippo, non inverto affatto il mio ruolo con quello del cane, se non molto metaforicamente, anche perché ci vuole una certa fantasia per definire il “ruolo” di Pippo e per pensare che io possa conoscerlo davvero e non semplicemente fantasticarlo

Dico che “divento Pippo” solo per convenzione e se piace pensarlo al mastro, ma in effetti sto concretizzando sulla scena il mio dialogo interno con una figura immaginaria, verosimilmente una parte di me stesso (psicologicamente parlando) di cui Pippo è solo un feticcio o un simulacro (anche perché Pippo conduce la sua vita per conto suo, alla faccia delle mie fantasie su di lui)

La drammatizzazione, dal più semplice colloquio di poche battute tra due persone (tra me e me) fino alla più complessa messa in scena con decine di attori per ore, vede comparire in scena: non delle persone o dei personaggi-ruoli, bensì delle mie rappresentazioni fantastiche di persone e di concetti; o, meglio ancora: dei miei pensieri profondi che colgono il pretesto dello stimolo “Pippo” per emergere ai miei occhi

Il dato è ovvio per il mastro esperto, ma capita che, durante la conduzione, gli apprendisti ancora un po’ acerbi si possano confondere (creando confusione)

 

  • Durante un attuale, è del tutto normale che si mettano in scena oggetti inanimati o concetti astratti. Nella mia lunga esperienza mi è capitato di impersonare, o di vedere impersonare, centinaia e centinaia (probabilmente: migliaia) degli elementi più vari: un piatto di risotto, un gran numero di animali, un preservativo, il buio, l’orecchio sinistro e l’orecchio destro del medesimo autore, o infiniti altri personaggi (vieni a partecipare e ne rimarrai affascinata). Dove è quasi inutile farti notare che nessuna delle parti appena evocate può realmente avere svolto direttamente un qualche ruolo attivo nella mia vita (il ruolo di “un mucchio di foglie secche”? o di “la possibilità di volare”? o di quant’altro). Ma sono tutte state delle ottime lavagne su cui scrivere alcune mie profonde memorie, pensieri ed emozioni
  • Nel contempo, l’inversione permette di realizzare quello sviluppo che ci suggerisce Tristan Tzara e che può sembrare a prima vista paradossale, ma è assai più profondo di quello che potrebbe apparire ad occhi ingenui, ma che lui ritiene essere un buon esercizio per gli attori (attuali?): “Prendete voi stessi a pugni in piena faccia e cascate morti” (1920)

 

 

 

 

 

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