Il format classico dello psicodramma si compone tradizionalmente di tre fasi: riscaldamento, peripezia, condivisione
La condivisione, detta anche sharing (da to share: condividere, partecipare, spartire, avere una parte) è l’ultima fase, di chiusura, per la messa in scena vera e propria, quando questa avviene alla presenza di più di un partecipante
Al momento dello sharing: il/le apprendiste esprime ad alta voce alcune delle proprie associazioni mentali cui è giunta, o qualcuna delle immagini che gli sono venute a mente in modo spontaneo, o qualsivoglia altro elemento gli venga da esprimere
Il costrutto della condivisione si riferisce in effetti alla sola azione drammatica realizzata in gruppo, dato che è impossibile condividere i propri pensieri (a parte che con se stessi) quando non ci sono altre persone con cui farlo
L’uso della “Condivisione!” che pure è utile come sintetica indicazione nel gergo registico, non corrisponde però realmente al mindset di chi si sta manifestando
L’apprendista che si esprime a conclusione di un attuale non sta interagendo con i presenti, anche per la precisa indicazione che il mastro prescrive a tutti di non dialogare ma solo di esternare singolarmente, bensì ragiona con se stesso parlando di se stessa
La cosiddetta condivisione non è certo un dibattito, ma consiste in effetti (caso mai) di una confessione o, più immediatamente, di una dichiarazione o espressione dei pensieri che urgono all’interno della persona, attivati da quanto ha visto accadere, cui eventualmente ha collaborato, e che la ha emozionata
La condivisione finale non è un confronto tra visioni del dramma (sul tipo di quello che segue alla proiezione del film in cineteca) anche perché non è rivolta agli altri (che pure la sentono, se ci sono) ma consiste di una riflessione autorale che il partecipante fa a se stessa, in forma simile al soliloquio
Il fatto che la conclusione, che la persona trova per sé, avvenga in presenza di altri può aggiungere una connotazione di pubblica dichiarazione per immagini private (con una potenziale aggiunta di efficacia) ma in effetti non rappresenta che un fattore marginale e non indispensabile nella riflessione conclusiva
L’idea dello sharing è (in modo assai trasparente) derivata da un blando pregiudizio ispirato a un modello della tradizione cristiana, dove tra l’altro (almeno per i primi secoli; diciamo: al tempo delle catacombe) la confessione è sempre stata pubblica; stante che la confessione privata è invenzione recente e costruita in una prospettiva di controllo da parte del confessore sul fedele, che non è mai esistita almeno per il primo millennio ed oltre del movimento cristiano
L’idea del condividere intenzionalmente appartiene assai poco all’attitudine dell’apprendista, che riflette ad alta voce su di sé, ma attiene piuttosto alla tradizione della eucaristia εὐχαριστία (riconoscere, ringraziare spiritualmente) cioè della comunione
In questo senso, l’impropria allusione alla tradizione monoteista è solo il riflesso di quella ispirazione della comunità mistica, soprattutto riformata, che è storicamente e idealmente all’origine di molto del movimento psicologico dei gruppi; a partire dall’Emmanuel Movement di Elwood Worcester, passando per la Alcoholics Anonymous, fino agli encounter groups del teologo-agronomo Carl Rogers, per arrivare alla diffusa tradizione della terza forza (con connotazioni New Age) della terapia di gruppo e della week-end psychology (tipo Esalen come anche del movimento hippy alla Peace & Love) e così via
- Nel contesto delle tecniche attive, la conclusione (sharing) finale dell’attuale risulta spesso efficace sul piano emotivo. Questa fase permette infatti a ciascun apprendista partecipante (se ce ne sono) di vivere un momento individuale e personale, tramite cui trovare un coagulo per quanto si è sciolto dentro di lei nel corso dell’azione. Detto altrimenti: è l’occasione di attraversare un passaggio che finalmente le permette di essere autore, nell’ambito di una drammatizzazione di cui è stata (fino allo sharing) assistente o collaboratore o spettatore, ma tendenzialmente senza mai essere appieno vero e proprio creatore

Felice Perussia, quarant’anni abbondanti di lavoro psicologico con i gruppi, specie come mastro (e apprendista) di Psicodramma & Ipnosi, ma anche oltre trent’anni come professore ordinario di Psicologia Generale (Personalità, Storia) all’Università – Oggi, come sempre, possiamo crescere insieme (Ci aiuterà!)