Nel teatro classico: il soliloquio è un monologo (già scritto) che l’attore mette in scena, esprimendosi interiormente tra sé e sé nella condizione psicologica di qualcuno che sta riflettendo e che si astrae dal contesto della scena, per cui viene detto anche “a-parte”
La convenzione scenica, tra gli attori e gli spettatori, vuole che la meditazione interiore avvenga manifestando ad alta voce i pensieri del personaggio, come se nessuno dei presenti né sul palco né tra il pubblico li potesse sentire
In molti casi eccellenti di teatro classico, non risulta del se l’attore sta parlando tra sé o ad una specie di pubblico fantasma che convenzionalmente non c’è ma a cui forse si rivolge; come è il caso in particolare dei dialoghi shakespeariani di un Amleto o di un Macbeth, ma anche di molti altri
Nel contesto del teatro attuale, il mastro si rifà a tale antica tradizione (ancorché senza partitura) per cui gli capita di suggestionare all’autore di manifestare all’improvviso delle riflessioni su quanto sta accadendo
Talvolta il mastro suggestiona esplicitamente all’autore che può ragionare a ruota libera, dato che non la sente nessuno; e di solito l’autore agisce come se fosse davvero così
- Un buon momento per suggestionare il soliloquio è quando sono appena intervenuti diversi scambi significativi tra le parti dell’autore (fra protagonista e attori) per cui si presume che possano essere state attivate molte associazioni significative e attivazioni della memoria emotiva nella mente dell’autore sulla scena
- Una circostanza tipica in cui tendono ad accavallarsi sentimenti anche lontani, che possono raccogliere un buon viatico dalla suggestione del soliloquio, è il compiersi di una sticomitia

Felice Perussia, quarant’anni abbondanti di lavoro psicologico con i gruppi, specie come mastro (e apprendista) di psicodramma & ipnosi, ma anche oltre trent’anni come professore ordinario di Psicologia Generale (Personalità, Storia) all’Università – Oggi, come sempre, possiamo crescere insieme (Ci aiuterà!)